Il cristianesimo positivo (in tedesco: Positives Christentum) è una dottrina della propaganda nella Germania nazista che consiste in una forma di cristianesimo da cui sono rimossi alcuni dogmi, in particolare dalla Chiesa cattolica, ritenuta erede del giudaismo. La dottrina non è ben definita, tuttavia fra i punti fondanti si possono elencare:
Il termine "Antico Testamento" rende il greco antico Παλαιά Διαθήκη[1] (palaia diatheke, lett. "antico patto") con cui alcuni scrittori e teologi cristiani dei primi secoli (come Ireneo di Lione) legittimarono l'appropriazione cristiana degli scritti ebraici[2].
Ad avviso di questi autori cristiani, le Scritture ebraiche avevano profetizzato l'avvento di Gesù Cristo, il messia promesso ai giudei, questi ultimi non riconoscendolo come tale avevano tradito l'"antico patto" stretto con Dio per mezzo del "sacrificio" di Isacco da parte di Abramo e, successivamente, rinnovato con la consegna della Torah a Mosè. Con coloro, giudei e gentili, che invece avevano riconosciuto il messia in Gesù Cristo, rappresentando il "vero Israele", Dio avrebbe stretto un "nuovo patto" ovvero un "nuovo testamento".
Lo storico del Cristianesimo, Giovanni Filoramo osserva a tal proposito:
«Questa lettura teologica, fortemente antigiudaica ha segnato fino al concilio Vaticano II (1962-1965) le relazioni negative tra cristianesimo ed ebraismo. Per questo oggi si preferisce parlare in prospettiva ecumenica di "Primo Testamento", per sottolineare il primato (e non più la subordinazione) della rivelazione che Dio avrebbe fatto ai "fratelli" ebrei.» |
(Giovanni Filoramo. Cristianesimo. Milano, Mondadori/Electa, 2007, pag.60) |